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Accertamento: prova contraria a carico del contribuente

Nell’ipotesi di un avviso di accertamento ai fini IRPEF emesso a seguito di verifica delle movimentazioni bancarie sui conti correnti, il contribuente ha l'onere di dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono rife...

17 Marzo 2022 da Teleconsul Editore S.p.A.

Nell’ipotesi di un avviso di accertamento ai fini IRPEF emesso a seguito di verifica delle movimentazioni bancarie sui conti correnti, il contribuente ha l’onere di dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, e, a tal fine, deve fornire non una prova generica, ma una prova analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (Corte di cassazione – ordinanza 08 marzo 2022, n. 7489).

La Corte di Cassazione, in materia di accertamento fondato sulla verifica delle movimentazioni bancarie, ha avuto già modo di chiarire che la presunzione di cui all’art. 32, co. 1, n. 2, D.P.R. n. 600/1973 dettata in materia di imposte sui redditi (secondo la quale i prelevamenti e gli importi riscossi nell’ambito di rapporti bancari, in difetto di indicazione del soggetto beneficiario o in mancanza di annotazione nelle scritture contabili, sono considerati ricavi o compensi posti a base delle rettifiche operate ai sensi degli artt. 38-41 dello stesso decreto, ove il contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto nella dichiarazione dei redditi ovvero che tali somme rimangono escluse dalla formazione dell’imponibile), omologa a quella stabilita dall’art. 51, co. 2, n. 2, D.P.R. n. 633/1972 in materia di IVA, consente di riferire a redditi (e, nel secondo caso, a ricavi) imponibili, conseguiti nell’attività economica svolta dal contribuente, tutti i movimenti bancari rilevati dal conto, qualificando gli accrediti (e, per le sole attività imprenditoriali, anche gli addebiti) come ricavi.

Trattasi di presunzione legale “juris tantum” che consente di considerare come ricavo riconducibile all’attività professionale o imprenditoriale del contribuente qualsiasi accredito riscontrato sul conto corrente del medesimo (ed anche a quello dei congiunti, in presenza di chiari elementi sintomatici di riferibilità allo stesso dei conti di questi ultimi), e comportante l’inversione dell’onere della prova, spettando a quest’ultimo di superare detta presunzione offrendo la prova liberatoria che dei movimenti sui conti bancari egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che gli accrediti (e gli addebiti) registrati sui conti non si riferiscono ad operazioni imponibili, occorrendo all’uopo che venga indicato e dimostrato dal contribuente la provenienza dei singoli versamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti.
E con specifico riferimento al contenuto dell’onere probatorio gravante sul contribuente, quest’ultimo ha l’onere di dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, e, a tal fine, deve fornire non una prova generica, ma una prova analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili ed il giudice di merito è tenuto alla rigorosa verifica dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, rifuggendo da qualsiasi valutazione di irragionevolezza ed inverosimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie, in quanto il giudizio di ragionevolezza dell’inferenza dal fatto certo a quello incerto è già stato stabilito dallo stesso legislatore con la previsione, in tale specifica materia, della presunzione legale.

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